“Magistrati!”

 

“… Era stato fermo a guardare la stanza, perdendosi in pensieri imprecisi, rimanendoci per dieci minuti tra flash di soddisfazione e sensazioni contrastanti, come quella che aveva scacciato subito, di come la scelta d’ispettore ministeriale era stata il momento solenne in cui la sua libertà si costringeva con il male e il dolore, generando in tal modo una nuova condizione. Si ridestò subito, avevano bussato alla porta.

Con un misto di sorpresa e di soddisfazione aveva schiacciato il pulsante che, con il solito cicalio e un automatismo quasi militaresco, aprì la grande porta che dava sul corridoio.

Entrò il dott. Baldi con altre tre persone, due delle quali non conosceva affatto. Uno dei tre aveva preso la parola direttamente, senza presentazioni. Era quello con la barba incolta, il più distinto, vestito con giacca e cravatta: “Dottor Ignazio Cirillo, sono il dottore Migliore, della Procura di Napoli. Devo notificarle un’ordinanza di custodia cautelare”.

Pronunciò quelle parole con modo deciso, senza tradire la benché minima sensibilità corporativa.

Lo conosceva il dott. Migliore. Erano colleghi, anche se di Procure distinte. Magistrati molto diversi, per cultura, formazione, ideologie, modi di intendere la funzione …”.

 

***

 

 

       “… “Guido”, gli aveva detto quella mattina l’avvocato Vanni, “Tu credi che i mali della giustizia risiedano nel fatto che la magistratura si sia sostituita alla politica. Rispondimi, sinceramente. Quanti magistrati, tra pubblici ministeri e giudici, credi che operano per cambiare la società con i loro provvedimenti giudiziari? Dieci, cinquanta? Forse cento? E secondo te questi cento possono essere la causa di tanti guasti? Da soli possono aver sconvolto tutto il sistema della giustizia, sia di quella civile che di quella penale? Ma lo credi veramente? Si sincero!”.

     L’avvocato Castiglione era stato molto critico con la sinistra. Le rimproverava di essere stata volutamente disattenta e complice, per omissione, dell’invadenza della magistratura nella vita politica del Paese, e soprattutto, di non aver voluto prendere una netta posizione garantista.

Considerava questa mancata denuncia, e l’assenza di un adeguato intervento politico, la vera causa di ogni male. Diceva che era compito della politica frenare le invadenze che altri poteri facevano del campo altrui e che non le era consentito utilizzare, per i propri fini, quelle scorribande giustizialiste.

“Senti Gianni”, aveva risposto: “Vorrei che le cose cambiassero. Per far questo darei buona parte del mio tempo e delle mie energie. Come la maggior parte delle persone perbene, potrei anche essere protagonista del cambiamento di questa classe dirigente. Non voglio però che a sollecitarmelo sia un magistrato nell’esercizio delle funzioni, e lo faccia proprio quel pubblico ministero che ha inquisito persone appartenenti a quella classe dirigente da sostituire. Se poi quest’esortazione quel pubblico ministero la fa prendendo la parola dal pulpito di un’assemblea politica, questo diventa un disastro per la tenuta della nostra democrazia”.

“Non esagerare”, lo aveva interrotto Vanni con aria di rimprovero, “Mica puoi togliere la libertà di esprimere le proprie idee a un cittadino, sol perché invece di fare il carrozziere ha scelto di fare il magistrato?”

 “Non voglio limitare la libertà di nessuno. Figurati quella di un magistrato. Sai bene che la questione pone altri problemi, molto più seri di quelli relativi ad un semplice esercizio di libertà. Per esempio ci sono problemi di eguaglianza. Entrambi apparteniamo all’area socialista, che adesso chiamerei liberal-socialista. Vediamo allora di dare a questa parola un valore. Dunque, in questa pretesa necessità di garantire qualunque libertà, mi pare che ci siano gravi problemi riguardo alle chance di successo, tra l’intervento pubblico e politico di un magistrato che ha esercitato un potere importante, aiutato, in questo suo scendere in campo, da procedure investigative molto invasive e dal sistema dei segreti, rispetto alle possibilità di un carrozziere. Solo per restare a quel mestiere che hai voluto scomodare. Se vuoi, al posto del carrozziere mettiamoci pure un avvocato, un medico, un ingegnere, un imprenditore, anche un politico di professione. Costoro non avrebbero alcuna possibilità di competere con il primo, nessuna possibilità di successo!”.

Si fermò, perché ebbe l’impressione di alzare la voce e disturbare gli altri passeggeri...”.

 

                        “… L’avvocato Vanni aveva cercato di spostare il discorso da quel piano, disse: “Vedi quella signorona seduta su quella poltrona?”.

Con il capo faceva segno verso un’anziana donna piuttosto sovrappeso, accasciata in uno dei posti singoli collocati lateralmente lungo il corridoio del vagone. Dormiva profondamente. Sulla poltrona di fronte aveva messo una valigia piuttosto ingombrante, trascurando di lasciarla negli appositi alloggi, occupandone il posto.

     L’avvocato Castiglione l’aveva notata al momento della partenza. Era entrata tutta impettita come una bersagliera e con passo deciso e si era diretta a quel posto, insediandosi senza esitazione. Dopo qualche minuto era arrivato un signore piuttosto distinto, uno dei tanti professionisti che viaggiavano a quell’ora e garbatamente le aveva fatto notare che quel posto gli era stato assegnato dalla prenotazione e nel dirlo le mostrava il biglietto. La signora non aveva battuto ciglio e non si era scomposta. Aveva guardato con aria severa il viaggiatore e gli aveva detto, in maniera alquanto decisa, che era un’abbonata e quindi aveva diritto di occupare un qualsiasi posto. Quindi non si sarebbe alzata.

Il signore l’aveva guardata con disgusto, nell’assoluta indifferenza della signora e poiché il vagone aveva qualche posto ancora libero, si era seduto in uno di quelli.

     “La riconosci?”, aveva proseguito l’avvocato Vanni, aggiungendo: “Quella è il consigliere Carletti. Sta andando in Cassazione. Nella valigia ha i fascicoli di cui è relatrice, tra quelli che oggi saranno trattati dalla Corte. Tu sai che è solo lei che decide la sorte di quei ricorsi, e dunque il destino di quei poveracci che in quegli atti hanno scritto le loro ragioni. Sai anche che gli altri giudici non diranno niente rispetto alla sua decisione. Hanno da pensare ai loro fascicoli, poverelli, che sono tanti e difficili. Quella è un’incapace! Non conosce neanche la differenza tra inammissibilità e infondatezza del ricorso. Come vuoi che possa aver studiato le complesse questioni che in quei ricorsi sono richiamate? Quelli come lei sono la maggioranza dei magistrati. Sono quelli che hanno provocato la frana che ha investito l’intero sistema della giustizia. Sono gli inetti, gli ignoranti, quanti non hanno più voglia di lavorare e studiare. I responsabili sono loro, solo loro. Sono coloro che non sanno neanche cosa sia il dubbio e vivono solo di certezze, le loro. Sono quelli che non sanno cosa sia un ragionamento, cosa sia la logica. Quanti sanno solo pensare alla carriera, quelli che si dedicano alle relazioni sociali, che pensano a scavalcare quanti invece restano nei loro uffici a studiare e a decidere secondo giustizia, magari mettendoci mesi per decidere una sola questione che meritava di essere approfondita, ma che da sola non fa statistica”.    

Il controllore era arrivato senza che i due lo sentissero. Stava ascoltando la disputa senza dire nulla, improvvisamente si era fatto notare chiedendo di vedere i biglietti …”.

 

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